Thc, definizione dei livelli massimi presenti negli alimenti

Definizione dei livelli massimi di Thc negli alimenti

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15 gennaio 2020, è stato pubblicato il Decreto 4 novembre 2019 “Definizione di livelli massimi di tetraidrocannabinolo (THC) negli alimenti”, ai sensi di quanto disposto dall’art. 5 della L. 242/2016.

Si tratta di un provvedimento da tempo atteso dagli operatori del settore considerato che, ai sensi del predetto art. 5, il legislatore avrebbe dovuto adottarlo entro il termine di 6 mesi dall’entrata in vigore della stessa L. 242/2016 (14 gennaio 2017) mentre sono trascorsi ben 3 anni durante i quali, stante il vuoto regolamentare, gli operatori economici si sono attenuti alle indicazioni fornite dal Ministero della salute con circolare del 22 maggio 2009 in materia di produzione e commercializzazione di alimenti a base di semi di canapa ed i loro derivati (es. farina e olio).

Pertanto, con il decreto in oggetto, il Ministero della salute ha definito i limiti massimi di THC consentiti negli alimenti, fornendo in tal modo un’indispensabile indicazione ai fini della coltivazione di tale pianta che, anche a seguito del diffondersi dell’utilizzo nei più disparati settori (ad es: farmaceutica, cosmesi, packaging, edilizia, design, tessile ecc.), negli ultimi anni ha fatto registrare una crescita esponenziale degli investimenti da parte delle aziende interessate.

A tal proposito, risulta necessario evidenziare, in via preliminare, che il presente decreto non contiene una regolamentazione di carattere generale riguardante la commercializzazione della canapa e dei suoi derivati ma si limita a chiarire alcuni aspetti applicativi relativi all’utilizzo nel campo alimentare.

A livello normativo, infatti, la richiamata L. 242/2016 ha introdotto in Italia una specifica disciplina in materia di sostegno e promozione della coltivazione e della filiera della Cannabis sativa L., legalizzando la coltivazione di alcune specifiche varietà della pianta che, di conseguenza, sono state espressamente escluse dall’ambito di applicazione del Testo Unico sugli stupefacenti (D.P.R. n. 309/1990).

Con il presente Decreto, pertanto, il Ministero della Salute fornisce indicazione agli operatori del settore alimentare fissando i limiti di THC consentiti, ai fini dei controlli ufficiali, negli alimenti che costituiscono parti e/o derivati dalle parti della canapa (art. 2), come indicati nell’all. II, che di seguito si riportano:

per i semi di canapa e la farina, inclusi quelli triturati, spezzettati, macinati diversi dalla farina, il limite è di 2 milligrammi per Kg;
per l’olio ottenuto dai semi di canapa, il limite è di 5 milligrammi per Kg;
per gli integratori contenenti alimenti derivati dalla canapa il limite è di 2 milligrammi per Kg.

Tali limiti sono definiti come somma delle concentrazioni della sostanza attiva e del precursore acido non attivo secondo la formula tecnica/chimica indicata all’all. II.

Per gli alimenti diversi da quelli sopra citati, il decreto in esame (art. 5, comma 2) prevede l’applicazione di quanto stabilito dall’art. 2 del reg. (CE) n. 1881/2006 che fornisce le indicazioni necessarie per definire “i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari” in relazione ai prodotti essiccati, diluiti, trasformati o composti da più di un ingrediente.

I metodi di campionamento ed analisi, ai sensi del successivo art. 6 del decreto in commento, sono disciplinati secondo quanto previsto dall’all. III che, a sua volta, rinvia a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 401/2006, in materia di controllo ufficiale dei tenori di micotossine nei prodotti alimentari, al fine di ottenere un campione di laboratorio omogeneo rappresentativo.

L’art. 7 prevede, inoltre, l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento, in base al quale possono considerarsi compatibili con le disposizioni del decreto in esame anche i prodotti alimentari provenienti da un altro Stato Membro dell’UE, dalla Turchia o da un altro Stato EFTA firmatario dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) a condizione che tali prodotti siano legalmente commercializzati nel Paese di provenienza (anche se secondo prescrizioni diverse da quelle italiane purché sia equivalente il livello di tutela della salute e sicurezza alimentare perseguito). A tal fine, l’applicazione del decreto in esame è sottoposta alle procedure stabilite da reg. (CE) n. 764/2008 relativo all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato Membro.

All’art. 8 sono inoltre previsti aggiornamenti periodici degli allegati, sulla base di nuove evidenze, secondo le seguenti modalità:

all. I: con decreto del DG per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione che dovrà essere pubblicato sul sito del Ministero della Salute con l’indicazione della data di aggiornamento;
all.ti II e III: con decreto del Ministro della Salute.

Le autorità individuate come competenti ai fini dell’applicazione del presente decreto (art. 3), ciascuna nell’ambito delle rispettive competenze, sono il Ministero della salute, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e del turismo, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, le regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e le aziende sanitarie locali.

In conclusione, sebbene il presente decreto definisca e disciplini i limiti di utilizzo della cannabis nei prodotti alimentari, restano invece non ancora bene definiti i contorni di regolamentazione riguardanti la commercializzazione degli altri derivati.

Ricordiamo infatti che i Giudici della Suprema Corte, con la sentenza 30475 (cfr. Com n. 29), risolvendo un precedente contrasto giurisprudenziale (cfr. Com. n. 20) in merito alla liceità o meno della commercializzazione dei derivati di canapa sativa L., sono arrivati alla conclusione che, integrano il reato previsto dal Testo unico sulle droghe (DPR 309/1990), e sono pertanto vietate, le condotte di cessione, vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. (come ad es. foglie, inflorescenze, olio e resina), anche nel caso in cui il livello di THC sia inferiore ai limiti consentiti dalla più volte citata L. 242/2016, salvo che tali prodotti risultino in concreto privi di efficacia drogante.

La sussistenza di quest’ultima circostanza (assenza di efficacia drogante), secondo la Suprema Corte, dovrà essere stabilita dal giudice di volta in volta, attraverso uno specifico accertamento diretto a verificare se, in quel determinato caso concreto, la merce posta in vendita abbia effettivamente efficacia drogante. Diversamente, la condotta in questione sarà da considerarsi lecita.

Resta pertanto necessario un intervento da parte del legislatore diretto a regolamentare anche gli ulteriori profili relativi alla commercializzazione dei derivati della canapa al fine di fornire indicazioni chiare e precise agli operatori

Potrebbe piacerti anche

I commenti sono chiusi.