Tasse locali: corsa infinita, il livello resta insostenibile

L’eliminazione della tassazione sulla prima casa ha sì interrotto l’aumento del livello delle tasse locali che imperversava da quindici anni, ma ciò non toglie che la pressione fiscale riconducibile alle Amministrazioni locali resti al massimo storico.

E’ una realtà facilmente verificabile grazie ai dati della ricerca “La legge di stabilitá 2016 e le prospettive della tassazione locale in Italia”, realizzata dal Cer in collaborazione con Confcommercio e presentata nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Roma presso la sede nazionale della Confederazione. Ebbene, negli ultimi venti anni (1995-2015) le tasse locali sono passate da 30 a 103 miliardi di euro (+248%), mentre nello stesso periodo di tempo le tasse centrali sono cresciute del 72% da 228 miliardi  a 393 miliardi. Di più: se nel 1998 meno del 9% dell’imposizione diretta era riconducibile alle Amministrazioni locali a fine 2014 tale quota è salita al 15%.  Entrando nel particolare dell’analisi, si scopre che dal 2011 al 2015 le imposte sugli immobili sono cresciute del 143%, passando da 9,8 miliardi a 23,9 miliardi di euro (ma nel 2016 ci sarà un calo del 19% su 2015 grazie alla riduzione sulla prima casa) e che la tassa sui rifiuti è cresciuta del 50%. Nell’anno in corso, infine, le tasse locali sugli immobili e sui rifiuti cresceranno complessivamente dell’80% rispetto al 2011, passando da 15,4 miliardi a 27,8 miliardi di euro. Notevoli anche le differenze territoriali: un contribuente romano con imponibile Irap e Irpef pari a 50mila euro paga oltre 2mila euro l’anno in più di un “collega” trentino,. mille euro in più di un milanese e 1.550 in più di un fiorentino. Quanto alle prospettive, nel 2016-17 le tasse locali dovrebbe scendere al 5,5% del Pil, sempre grazie alla decisione governativa di eliminare l’imposizione sulla prima casa. Il peso delle imposte dirette locali resterebbe invece fermo al suo livello massimo (2,2% del Pil) per tutto il 2016, per scendere di due decimi solo nel 2017. Per quanto concerne infine la spesa pubblica, il responsabile dell’Ufficio Studi Confcommercio, Mariano Bella, ha sottolineato che “sarebbe scorretto negare che non si sia fatto nulla negli ultimi tempi, ma una vera e propria riduzione non c’è ancora”.

“Anche se la spesa pubblica corrente si è finalmente ridotta nel 2015, gli sforzi fatti non sono sufficienti. La crescita della pressione fiscale indebolisce il nostro sistema produttivo, già stremato da una crisi durissima”. Così il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha commentato i dati della ricerca realizzata insieme al Cer, sottolineando che “ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie è prioritario.  Le nostre imprese, quelle del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti non vogliono e non possono più pagare il conto di enti pubblici inefficienti. E soprattutto non vogliono subire trattamenti discriminatori e penalizzanti nel pagamento delle tasse locali: una piccola impresa può pagare anche 2.200 euro in più tra Irpef e Irap solo per il fatto di risiedere in un Comune piuttosto che in un altro”.

Per Sangalli, “la via è una e obbligata: controllo serrato della spesa in generale, applicazione rigorosa del criterio dei fabbisogni e dei costi standard, maggiore coordinamento tra i vari livelli di governo. Meno spesa pubblica e meno tasse è la ricetta per un Paese più dinamico e più equo che vuole tornare a crescere e che vuole scongiurare definitivamente il ricorso alle clausole di salvaguardia”. Quanto alle propesttive economiche per il 2016, Sangalli ha detto che “sarà un anno difficile e pieno di sfide, anche per il dato deludente dell’ultimo trimestre del 2015. L’Italia ha però tutte le carte in regola per crescere, a patto che la legge di stabilità esplichi in pieno i suoi efetti espansivi”.

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